giovedì 16 maggio 2013

Il Canto della Sirena - Maddalena Cioce

Racconto non in gara per il concorso "Legendary Fantasy Contest"!



Il Canto della Sirena
Maddalena Cioce



Finalmente il gran giorno della gita al mare era giunto. Federico, Claudia e Giancarlo stavano organizzando quell’escursione da più di un mese, cercando di conciliare gli impegni di lavoro per trovare un giorno libero in comune a tutti e tre. Il trio si conosceva già dai tempi delle scuole superiori e da allora era inseparabile: nemmeno il fidanzamento di Claudia e Giancarlo era riuscito a intaccare la loro amicizia, sebbene, in passato, i due ragazzi si fossero contesi le attenzioni della bella ragazza con occhi verdi e capelli d’ebano. Ben presto, Federico aveva finito per farsi da parte a favore dell’amico, per lui come un fratello, sebbene i due fossero, praticamente, l’uno l’opposto dell’altro: Federico, caldi occhi nocciola e lunghi capelli rasta castano scuro, era un artista, sensibile e con un gran cuore, attento ai particolari e un po’ introverso; Giancarlo, biondo e con gli occhi azzurri, era spensierato e amava essere sempre al centro dell’attenzione. Ovunque andasse, era “l’anima della festa”, e anche lui aveva un animo buono, anche se era abituato a ottenere sempre ciò che voleva, a scapito di tutto e tutti. Ciononostante, i due continuavano a essere inseparabili, l’uno il ragazzo di Claudia e l’altro il suo migliore amico. A Federico non pesava affatto passare la giornata con la coppietta che, per la metà del tempo, era indaffarata in effusioni amorose nell’acqua o tra i cespugli, con la scusa di una passeggiata. Lui aveva la sua tela, i suoi pennelli, i suoi colori ad olio e un paesaggio mozzafiato che si stendeva davanti a lui a perdita d’occhio.
Trovata una piccola roccia sporgente tutta per loro, sulla quale ci si poteva sedere e mettere i piedi a mollo nella cristallina acqua del mare, appartata e perciò completamente isolata dalla spiaggia, posizionò la sua attrezzatura e, a torso nudo e in costume da bagno, con un largo sorriso, mescolò i colori, intinse il pennello e cominciò a tracciare sulla tela ciò che vedeva all’orizzonte.

Dipingeva già da un’ora e il suo quadro era quasi terminato, a parte le ultime rifiniture, che portavano sempre via la maggior parte del tempo, quando una risata argentina alle sue spalle gli preannunciò il ritorno dei due amici dalla loro “passeggiata”.
«Hey, Fede!» lo salutò Giancarlo, poggiandogli il mento su una spalla per osservare il suo quadro. «Porca miseria! Sembra una fotografia! Non ti smentisci mai!»
Federico, con un mezzo sorriso, diede una spallata giocosa all’amico. «Dai, che schifo, togliti che sei sudato!»
Giancarlo, di tutta risposta, sollevò un’ascella e, ridendo come un matto, vi infilò sotto la sua testa. Federico lasciò, quindi, la sua postazione e i due cominciarono scherzosamente a lottare, mentre Claudia, con un sorriso divertito sulle labbra piene, osservava il bellissimo quadro, che replicava con estrema cura il paesaggio idilliaco che le si stagliava innanzi. Ciò che non riusciva a spiegarsi, però, era cosa ci facesse la coda di un grosso pesce nel bel mezzo del mare. Era molto bella, con scaglie multicolori che riflettevano la luce del sole, ma non aveva nulla a che fare con il resto del dipinto.

Claudia e Giancarlo stavano di nuovo facendo il bagno, incapaci di resistere al richiamo dell’acqua fresca nella giornata torrida, ed erano lontani da lui diversi metri, che nuotavano l’uno accanto all’altra, quando Federico decise di sedersi sul bordo della sporgente roccia a prendere un po’ di sole, con i piedi a mollo. La dolce brezza marina gli accarezzava la pelle accaldata dal sole e il mare gli lambiva i piedi con la sua acqua fresca: il momento era perfetto, non desiderava nient’altro dalla vita in quel frangente.
Con gli occhi chiusi e il viso rivolto al cielo, il giovane sorrideva, rilassato, ma la sua beatitudine non durò a lungo: dai flutti emerse una mano e, senza alcun preavviso, lo afferrò per una caviglia e lo tirò giù tra le onde. Federico ebbe a malapena il tempo di prendere una boccata d’aria per non affogare. I due amici, troppo presi l’uno dall’altra, non si accorsero di nulla.

Un paio d’occhi, grandi e violacei, si specchiarono nei suoi. Capelli dorati le incorniciavano il viso, fluttuandole intorno sospinti dalla corrente, mentre con le delicate, ma forti mani lo teneva per le spalle, impedendogli di risalire in superficie.
Ebbe appena il tempo di notare la rete finemente intrecciata d’alghe e conchiglie che le copriva il petto, e la coda di brillanti scaglie multicolori che sfoggiava al posto delle gambe, che il bisogno d’aria lo spinse ad annaspare e ribellarsi contro la sua stretta.
Gli occhi della sirena si fissarono in quelli di Federico, catturando il suo sguardo, mentre bolle d’aria gli sfuggivano dalla bocca schiusa. Un bagliore etereo illuminò gli occhi della creatura, riflettendosi come davanti a uno specchio nelle sue pozze color nocciola: un susseguirsi di immagini gli invase la mente e non vide né sentì più il mare lambirgli la pelle.

Un grande occhio oscurava il cielo, minaccioso e imponente, e lunghi fili insanguinati partivano dalle sue ciglia. Ad essi era attaccato un bilancino di legno, dalla tipica forma a croce. La scena cambiò, e vide, in rapida successione, una serie di marionette, tirate dai filamenti cremisi: un uomo anziano in abiti e copricapo bianco che salutava una folla esultante di bambole di pezza da un balcone; un uomo in giacca e cravatta dietro un leggio, con in mano una fascetta di banconote; una donna in abiti succinti, che lasciavano ben poco all’immaginazione, impegnata in un balletto erotico davanti a un’altra moltitudine di bambole dallo sguardo stregato; un uomo con indosso una tuta mimetica, che sparava verso dei pupazzi, vestiti di stracci, delle dimensioni di un bambino. Man mano che le immagini si susseguivano, andavano sempre più veloci, finché non divennero una macchia indistinta, sempre più nera e cupa, e nella mente non gli rimase solo il particolare in comune tra tutti gli strani fantocci che aveva visto: i visi, che sembravano disegnati da un bambino crudele, pesantemente trasfigurati da ghigni malvagi. All’improvviso l’oscurità si dissolse in un’esplosione rosso vivo e vide la stessa scena ripetersi ancora, in rapida successione come prima, ma i burattini andavano a fuoco, accartocciandosi su se stessi, mentre i loro occhi disegnati piangevano lacrime di sangue.
Così com’era cominciata, la visione si dissolse e Federico si ritrovò nuovamente sott’acqua, con lo sguardo fisso negli occhi viola della creatura, che mai avrebbe pensato potesse esistere realmente. Le iridi della sirena persero gradualmente il lume etereo e il bisogno d’aria tornò a farsi sentire, insieme all’istinto di lottare per la propria vita: ricominciò ad agitarsi, annaspando e scalciando per tornare in superficie, ma non aveva più ossigeno a disposizione e sentiva la coscienza abbandonarlo, mentre tutto diveniva nero come nella strana visione di cui non aveva capito il senso.
Ricorda. Una voce echeggiò nella sua mente, ma ormai non aveva più forze nemmeno per pensare. L’ultima cosa che vide prima di perdere i sensi fu l’insolito, magnetico sguardo della bellissima creatura delle leggende, che gli si avvicinava, preoccupata. Sentì le sue labbra sulle proprie, mentre lo cingeva in un intimo abbraccio e gli soffiava nella bocca.

Una cascata gelida sulla pelle accaldata lo fece svegliare di soprassalto. Si mise a sedere di scatto, guardandosi intorno con gli occhi spalancati: Claudia e Giancarlo erano in piedi davanti a lui, con un secchiello ormai vuoto in mano, piegati in due dalle risate.
«Ma che siete, scemi?» accusò Federico, irritato, ma i due lo ignorarono.
«Oh, Fede, non te l’ha detto la mamma di non dormire sotto il sole senza la cremina? Avevi proprio bisogno di una rinfrescata!» Giancarlo lo prese in giro, falsando la voce.
«Meno male che abbiamo trovato questo secchiello abbandonato sulla spiaggia, ti abbiamo salvato la pelle, sai?!» continuò Claudia, cercando di sembrare seria, senza riuscirci minimamente.
Federico, stizzito, prese un pugno della poca sabbia presente sullo scoglio e lo lanciò sui loro corpi bagnati. I due cominciarono a imprecare tra i denti, cercando inutilmente di scrollarsi di dosso i granelli appiccicati, mentre Federico gongolava per la trionfale vendetta.
«Ben vi sta!» esultò, saltando in piedi e allontanandosi per evitare ulteriori dispetti.
La coppia di amici rinunciò a ogni rappresaglia e si rituffò in mare per ripulirsi, lasciandolo solo con il suo quadro.
Anche Federico non poté fare altro che gettarsi in acqua: aveva la schiena e le mani ricoperte di sabbia. Stette il più lontano possibile dai due amici, per evitare che gli venisse in mente di tentare di affogarlo per ripicca, poi, dopo una breve nuotata, si issò sullo scoglio e si sedette davanti alla sua tela.
Mentre aspettava che il sole lo asciugasse, cominciò a esaminare il suo dipinto alla ricerca di eventuali errori da sistemare e il suo sguardo venne colto dalla grossa coda di pesce che aveva riprodotto in mezzo al mare. Non riusciva proprio a ricordare perché ce l’avesse messa. Oltretutto, non era nemmeno verosimile: se avesse voluto disegnare una pinna di balena che usciva dall’acqua, avrebbe dovuto tracciarla diversamente.
Eppure, quella coda di pesce gli trasmetteva una strana sensazione, come di un sogno dimenticato al risveglio, che ancora aleggia nell’aria ma non riesci in alcun modo ad afferrare, troppo volatile ed etereo.
Finalmente asciutto, riprese in mano il pennello, deciso a cancellare quel particolare che stonava col resto del paesaggio, ma non fece in tempo a intingerlo nel colore giusto che delle note riempirono l’aria: una voce leggiadra come non ne aveva mai sentite, di una dolcezza e una malinconia infinite, gli entrò così a fondo nell’animo che non riuscì più a muovere un muscolo.
Continuò ad ascoltare la melodia, immobile, rapito dalla soavità di quelle parole incomprensibili, senza riuscire a capire da dove provenissero.
I suoi amici, distanti da lui qualche metro, sembravano non udire nulla.
La melodia terminò, lasciandolo solo in quel silenzio assordante, con le dita tremanti che ancora stringevano il pennello, teso a mezz’aria verso il blu oceano sulla tavolozza.
Ricorda.
La parola echeggiò nella sua mente, mentre l’attrezzo gli sfuggiva dalle dita e cadeva tra i colori, facendoli mescolare e schizzare sul suo petto.
Si alzò di scatto, con gli occhi sgranati, guardandosi convulsamente intorno alla ricerca di non sapeva nemmeno lui chi o cosa. La sua testa era stranamente vuota, e la sensazione di avere qualcosa sulla punta della lingua, che, per quanto si sforzasse, non riusciva a ricordare, non lo abbandonò.
Ancora agitato, si sedette e raccolse il suo materiale con cautela, assicurandosi che del colore non fosse volato per sbaglio sul suo quadro, poi intinse a colpo sicuro il pennello nel verde e cominciò a rifinire la chioma dell’albero che spuntava sul lato destro del disegno.
Non aveva più voglia di cancellare quella coda.

1 commento:

  1. Simone Lari: Maddalena in questo caso è come una cantante ospite a San Remo: canta ma non concorre alla vittoria :p Conosco e apprezzo da tempo il suo stile, che emerge anche in un racconto breve come Il Canto della Sirena, quindi è superfluo ribadire in questa sede il mio apprezzamento. Ne riparleremo dopo che avrò letto il suo libro, in uscita a breve: “Le Cronache di Eiru – La Faida”

    Maddalena Cioce: L’autrice sono io, quindi no comment! Grazie Simone per avermi paragonata a un’ospite di san Remo, io e il contest siamo lusingati! XD

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